La favol(ett)a di Lorenzo AKA Almond

Certezze? ......Nessuna!

Baci … vuoti

A Uich Nut Hellen, alias Elena Strega Nocciola, occorrevano “racconti di un fatto birichino di quanto eri piccolə, curioso, simpatico, strano, imbarazzante” da passare durante un live stream su NoStream. Questo il mio 🙂

Da poco più di un anno abitavo con la mia famiglia nella nuova casa. La prima infanzia l’avevo vissuta in un condominio “famigliare”, 8 appartamenti realizzati da 6 fratelli, perlopiù tutti muratori, nostri parenti acquisiti per via di una mia zia paterna, sposa di uno di loro. Che poi mi fece da seconda mamma, così come tutte le altre “zie” del palazzo. In quei primi cinque/sei anni, la mia scoperta del mondo era limitata allo scendere in cortile, salire alle soffitte, affacciarmi dal balcone o intrufolarmi negli altri appartamenti, sempre aperti soprattutto per me che ero la mascotte per tutti.
Poi, l’andare ad abitare in campagna, fu una svolta: restare dentro il recinto diventò presto noioso e con molta naturalezza iniziai ad attraversare la strada, ad esplorare le campagne vicine e a spingermi anche diverse decine di metri fuori dallo sguardo dei miei. In una di quelle esplorazioni presi atto che non distante da casa c’erano un tabacchino e un negozio di generi alimentari. Tra i due si poteva trovare pressoché tutto l’occorrente, ma i miei, entrambe impiegati, facevano i loro acquisti in centro, per comodità.
Accadde quindi che un giorno arrivò la Festa della Mamma. Non che non fosse già prevista, ma per qualche motivo, nonostante la poesia imparata e il lavoretto fatto a scuola per l’occasione, io me l’ero vista piombare lì all’improvviso e fui sopraffatto dal timore di fare una pessima figura, nel dover festeggiare la mamma senza un adeguato regalo “vero”. L’ovvia soluzione poteva essere solo il negozio di Assunta, li, vicino casa, ché mica potevo chiedere a papà di tornare in centro per questo motivo.
Credo di aver imbastito un bel discorsetto, giacché papà non batte’ ciglio nello sganciare la 500 lire. E non ci furono neanche le predicozze tipo “Stai attento alla strada”, “Non fare l’andata del corvo”, “Se incontri il cane dei vicini, non fare che giocandoci ti dimentichi di avere una casa e una famiglia” e tutte cose del genere. Il discorsetto deve essere stato proprio da ometto visto che non mi venne raccomandato “Saluta e sii educato”.
Così m’avviai, col foglietto azzurro da 500 lire, nuovo di Zecca – nel vero senso della parola, essendo di recente emissione – con l’intento di acquistare un vero regalo per la Festa della Mamma: una scatola di cioccolatini, ché al Carosello c’era una bella signorina bionda che dipensava Baci a tutti, e io adoravo i baci della mamma. Anche quelli alla mamma.
Credetemi, ho ancora il ricordo dei primi passi fuori dal negozio, con la scatola in braccio, in bella vista; non sotto l’ascella, né tantomeno in una busta anonima; no, la posizione era tipo la teglia di lasagne portata in tavola dalla mamma, solo che lei teneva la teglia per i manici mentre io la portavo sulle braccia piegate a 90 gradi, anzi un po’ meno per poter apprezzare lo stupore e la bava alla bocca di chi avrei potuto incrociar per strada.
Bava alla bocca…. Acquolina in bocca… Cominciavo a capire il senso di quei modi di dire. Più guardavo la bella scatola, più immaginavo la bontà del suo contenuto.
E niente: appena svoltato l’angolo, lungo il tratto di strada senza case con occhi che avrebbero potuto vedermi e voci che avrebbero potuto redarguirmi, non riuscii a resistere più. Il gesto fu troppo automatico, non ricordo come avessi tirato via il cordino che facilitava l’apertura della scatola, ma di sicuro lo feci. Solo per guardare le belle praline. Solo per sentirne il profumo. Solo per affermare che fossero davvero buone.
Ma poi, una in meno, che male avrebbe fatto? Dai! E svolto l’incarto d’alluminio, ne assaporai una. Ed era solo la prima, accidenti a me! A metà strada di Baci ce n’erano già la metà. Come avrei potuto ripresentarmi?
Via. Rigirai per tornare da Assunta per acquistarne un’altra e strada facendo -tanto ormai quelle non facevano più testo – ne assaporai altre, fino a che, ad un passo dall’ingresso, rifacendomi due conti, mi ricordai che … non avevo più soldi.
Non me la sentii di entrare, chiedere altri Baci e dire “Poi passa papà a pagare”. E così, girati i tacchi, mi riavviai verso casa, col rimorso d’aver ceduto alla golosità creando un casino.
Finché arrivò quella che mi sembrò l’ovvia soluzione: trangugiato – con un po’ di nausea, ormai – l’ultimo Bacio, riavvolsi la scatola col cellophane e fermai il tutto con lo scotch.
Con una faccia da mattone, tosta come non mai, porsi la scatola e candidamente feci gli auguri a mamma. Che m’aspettavo anche un “Quanto sei caro, ometto mio! Ti voglio bene”. Era un mio diritto: che c’entravo io con quei furbi della fabbrica che avevano mangiato tutti i baci e richiuso la scatola per non farsi beccare dal capo?
Penso che non mi credettero.
Eppure sorrisero, mia madre e mio padre e quanto accaduto divenne per lungo tempo la loro storiella preferita da raccontare a parenti e amici.
Che figura, gente!
(E sapeste che mal di pancia poi!!! )

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