È festa al paese.
Consumata una frugale cena, mi avvio verso la piazzetta insieme all’unico dei figli ancora al seguito.
Saluto la signora al balcone, ormai sola in casa, poggiata dolorante sulla ringhiera, rivolta verso la chiesa da cui provengono i suoni. Almeno venti anni, venticinque forse che non fa più concorrenza ai nocellari e ai porchettari col suo baretto di campagna. Un tempo la gente passeggiava sotto le luminarie e si fermava anche da lei, magari per un Cremino o un Calippo o un semplice caffè.
Un tempo la gente passeggiava sotto le luminarie, perlustrando le bancarelle dei marocchini per trovare qualche ninnolo, una patacca di orologio digitale “Casio”, l’adesivo della “maria” su sfondo di specchietti caleidoscopici, o l’antenna cicciotta da mettere sul tettuccio della 112 al posto dell’esile fil di ferro di serie..
Le luminarie formavano una sorta di galleria, con lucine flebili verdi, gialle e rosse, ad illuminare fantasiosamente la blusa nuova, bianca, legata con un nodo in vita, ma quella vita sopra l’ombellico a meno di un sospiro dalla fine della scollatura che mamma aveva capito che avrebbe scoperto la bella schiena della sua bella figlia che aveva avuto la bella idea, prima di sfilare sotto le luminarie, di girarla l’avanti indietro, per fare girare tutti, ma soprattutto lui che pareva non filarsela.
Stasera con mio figlio, a piedi vado verso la piazzetta, dove un tempo era piazzata la “cassarmonica”, dove un tempo avrebbe suonato il complesso romagnolo con le soubrettes scosciate in paillettes e il brecciato non avrebbe frenato i “valzetti” e le “mazurchette” ne tanto meno il twist. A fine serata tutti a casa con le scarpe, gambe o pantaloni bianchi di polvere, stanchi ma felici. Felici.
Stasera vado con i piedi e mio figlio verso la chiesa, dove dietro sta suonando il complessino, locale ma con buon seguito, di successo, quasi. La mente invece ha scelto un’altra dimensione per i suoi spostamenti. E probabilmente non solo la mia.
Ex giovani guardano e ascoltano, magari si risalutano dopo tanto tempo. Qualcosa nel loro apparato nervoso sembra far muovere il corpo al ritmo della musica. Il movimento, nei pensieri, è fluido ed energico, invece la sola reazione visibile a chi li guarda è una punta di piede che tiene goffamente il ritmo o la panza che si contrae quando arriva il momento del caschè.
I giovani di oggi, qui al paese, stanno vivendo una bella gioventù. Certo, non bella come la nostra. O si? Il gruppo attira ragazzi e ragazze dai paesi vicini, sanno divertirsi in modo “pulito”.
Hanno occupato un paio di tavolate e l’intrattabile, il reietto, il disconosciuto della contrada, ha occupato un posto tra loro. Uno scomodo nonno tra tanti nipoti dei suoi ex amici.
Penso a come noi ex giovani, se fossimo seduti ad una tavolata, se stessimo trascorrendo la festa insieme, se stessimo passando momenti spensierati, se… A come noi ex giovani, in quel caso, avremmo reagito al suo arrivo. Più facile dileguarsi, più facile salutarsi, anche solo per finta, anche solo per cambiar tavolo e lasciare lui li solo, anzi, col suo passato che un sorso dopo l’altro prova a digerire assieme al vino.
Beata gioventù, beati bravi ragazzi che consapevoli di camminare su un fil di rasoio, con la possibilità di vederlo scoppiare in una delle sue scenate colleriche – odio liquido vomitato sugli altri per punire se stesso delle malefatte, delle stupidaggini dall’esito maledettamente definitivo – con tutti i rischi del caso lo accolgono, ridendo, forse anche un po’ deridendolo e non se ne fanno cruccio.
Stasera, a piedi e con mio figlio, sono arrivato nella piazzetta dove c’è la festa del paese. Sotto il grande palco, la pista, ormai in cemento livellato e sulla pista poche persone che osano ballare, chi in coppia, chi in gruppo, chi da solo, defilato ma con l’aria di chi i passi veri dei balli di gruppo li conosce bene, meglio degli altri.
Il resto è ai tavoli, a sgranocchiare arachidi e lupini, a contare chi c’è e chi non si è visto, a far numero per tenere in vita l’appuntamento annuale della festa, un tempo motivo di orgoglio identitario della contrada.
Stasera con mio figlio son venuto alla festa a riveder fantasmi. Se guardo ad uno ad uno questi ex giovani, se provo ad immaginare i loro pensieri, li vedo tutti intenti a tornare con la mente – e il cuore – agli anni in cui si passeggiava sotto le luminarie e si perlustravano bancarelle e si indugiava su quella scollatura e si ballava e si finiva la serata stanchi ma felici.
Felici.
Antonietta 5 Giugno 2023
Bellissimi pensieri Lorenzo. Mi hai fatto venire le lacrime agli occhi..ho ricordato quando, sotto le luminarie, camminavo accanto a mia madre e mio padre. Ero una bambina che guardava al mondo con meraviglia e felice.. inconsapevole dei mostri che il mondo avrebbe sguinzagliato per minare la mia felicità..
Ti abbraccio Lorenzo